Cosimo I de’ Medici, I Granduca di Toscana iniziò nei primi anni del Cinquecento una imponente opera di rifeudalizzazione – continuata dai suoi successori- di un ampio territorio tra la Maremma, Cerreto Guidi, San Rossore e Artimino. Ampie tenute coperte da boschi e zone paludose, che poco apparentemente interessanti, si rivelarono al contrario investimenti assai redditizi, adatti com’erano per la pesca, il pascolo, il legname e la caccia, passione che univa molti esponenti della famiglia.
Di pari passo con lì accrescimento delle terre procedeva la costruzione o ristrutturazione di imponenti e magnificenti ville veri e propri centri di amministrazione delle tenute utilizzate dai granduchi e dalla corte anche come residenze periodiche in funzione del clima salubre e della passione venatoria. A tutela dell’ampio territorio attorno a Vinci ed Artimino fu istituita nel 1626 una grande riserva di caccia – il Barco Reale Mediceo - che si estendeva per almeno 4000 ettari.
La bandita era delimitata da un muro costruito con bozze di arenaria e calce lungo 52 chilometri che si snodava nel territorio esteso tra Poggio a Caiano e Carmignano, Artimino, Poggio alla Malva, Bacchereto, fino a Faltognano, S. Amato e Porciano. L’aspetto originario del Barco è ricavabile dai disegni settecenteschi di Bernardo Sgrilli, ingegnere al servizio dei Medici.
La caccia nel barco era riservata ai membri della famiglia ed ai loro ospiti e i guardiacaccia (i birri) vigilavano affinché questa regola fosse rispettata.
All’inizio del Settecento il Barco cominciò a subire un lento abbandono: scarso era il legname che se ne poteva ricavare, le spese di manutenzione erano molto alte e la politica del Granduca Pietro Leopoldo mirava a liberalizzare le risorse dell’area: il 13 luglio 1772 il Barco fu sbandito.
A Poggio alla Malva si conserva ancora la porta d’accesso al Barchetto della Pineta, riserva nella riserva costruita almeno settant’anni prima del Barco, che racchiudeva un’area di un paio di miglia.